Le recenti elezioni ci consegnano una lettura politica di come sta evolvendo la nostra società. Una base importante nella riflessione che abbiamo aperto.
Prima di tutto, la chiave di lettura destra/sinistra è solo fittiziamente utile. Europee 2014, referendum 2016, amministrative 2017, politiche 2018 ci raccontano di un elettorato che si sposta in massa sulla base della concretezza della proposta e della propria quotidianità.
Lo strumento principale è l’ascolto: ascoltare le preoccupazioni, la visione di un futuro che gli italiani percepiscono come incerto. L’ascolto è il punto di partenza opposto a quello di chi pensa che si possa modificare la percezione della realtà concreta attraverso un’immagine indotta con la realtà virtuale. L’ascolto è empatia, quasi immedesimazione; significa prendere gli istinti e le paure più basse e saperli trasformare in proposta politica alta, seria, concreta, equilibrata e rispettosa.
In secondo luogo, la questione delle alleanze sembra non entusiasmare più gli italiani. Al di là di tutte le rispettabilissime opinioni espresse in questi giorni – tutti ci svegliamo scienziati della politica ed esperti di strategie – va detto che l’elemento “alleanze” è rimasto sostanzialmente indifferente ai più. Della serie: non ti giudico per chi sei e con chi stai, ti giudico per ciò che proponi e soprattutto per quello che fai.
Servirà tempo per analizzare le ragioni del risultato complessivo, non solo del singolo partito. Ma nel frattempo, questa consapevolezza ci fa capire che non è lo schema di appartenenza partitica a indicare la strada, quanto il contenuto. È l’appartenenza al sentimento della comunità, la chiave di ricostruzione del deflagrato panorama politico, soprattutto nel campo che si chiamava Centrosinistra. Sono la coerenza e la credibilità delle proposte, oltre alla faccia non consumata dei proponenti, a dettare il passo del tempo che viviamo.
La narrazione che il PD aveva vissuto nella prima ora di ascesa dei “rottamatori” ne è la prova: l’estrema empatia vissuta da un Paese che, finalmente, trova chi lo mette davanti a se stesso e lo ascolta. Poi quello schema si è infranto sullo scoglio del potere e delle vite di palazzo, i cui staff hanno allontanato i leader dalla gente, schermandoli dai messaggi che venivano dall’esterno.
Chi vuole ricevere l’incarico di occuparsi del Paese deve avere il coraggio di scendere nelle sue viscere, districandosi fra paure, aspettative e sentimenti. Chi vuol fare politica deve avere la capacità di rispondere subito a quelle viscere, con la prontezza di un disegno che non tralascia il futuro di medio e lungo periodo, ma che nemmeno ignora le esigenze del presente e breve periodo.
È evidente che il quadro politico dei prossimi anni subirà mutamenti: il vero faro non sono le voglie di “ammucchiata” che qualcuno vorrebbe cavalcare. La comunità ci ha gridato che sono i valori di base a costituire l’identità politica: le esperienze maturate, la trasparenza delle relazioni, i metodi di approccio aperti alla partecipazione, il rapporto franco con le strade e la città, la capacità di selezionare i propri rappresentanti e non imbarcare chiunque. Tutto questo, in alternativa a chi continua a dividere per comandare, a nascondersi o raccontare bugie, a non dare spiegazioni, a negarsi all’uomo di strada pensando che basti asfaltare, a mercanteggiare il voto giocando sulla frustrazione e il bisogno, a imbarcare tutti e il contrario di tutti.
L’Italia è una grande comunità impastata di sentimenti: se vogliamo tornare a essere il punto di riferimento della gente, il PD non deve cedere alle sirene del tatticismo o del campo delle sigle politiche. Deve risintonizzarsi con le strade e le piazze, portando in dote i valori storici per lanciarsi di nuovo in quel cambiamento che ancora il Paese cerca. Abbandoniamo la pratica del potere e torniamo a immergerci nella realtà quotidiana, con la sicurezza di una vastissima classe di amministratori locali che possono aiutare il partito a ritrovare la bussola. Un po’ come accade in tutto il mondo, anche il PD è chiamato ad attualizzarsi. Per questo sono convinto che se ben si comincia, si è a metà dell’opera.